23. janvier 2022
Alla scoperta dell’India – primo episodio
Nel 2002 il giovane Andrea Arci partiva alla volta dell’India in un viaggio di scoperta di un paese senza limiti e dai confini precari. Riviviamo insieme le tappe di questo periplo fra mondo ideale e realtà
(c) Andrea Arcidiacono, tutti i diritti riservati 1/12
Volava da persona a persona per distribuire gli acini d’uva pazientemente lavati, come un’ape operaia si libra di fiore in fiore alla ricerca del prezioso nettare. Con movimenti rapidi e attenti l’esperto volontario assegnava alle persone ricoverate la razione di cibo quotidiano, almeno a quelle persone che avevano ancora la forza di nutrirsi. Finito il frugale pasto le persone più deboli venivano portate in braccio dai volontari nel loro lettino per il riposo pomeridiano. Seduto ai bordi di un lettino il decano dei volontari abbracciava e accarezzava con molta tenerezza un anziano ospite dai giorni forse contati. Da tredici anni Andy, bavarese di una quarantina d’anni, prestava la sua opera di volontario nella casa dei moribondi a Calcutta, la prima opera assistenziale fondata da madre Teresa. Ripeteva in modo incessante di essere al servizio dei più poveri, delle persone dimenticate e degli ultimi per spiegare la sua scelta di vita. Prima di partire per l’India lavorava come esperto informatico in una banca. Un cambiamento di vita radicale che la famiglia e l’amica dell’ape operaia teutonica aveva accettato con pazienza e rassegnazione. Accanto all’infaticabile Andy diversi volontari provenienti dai paesi più disparati – Argentina, Canada, Francia, Giappone – erano impegnati nell’assistenza e nella cura delle persone moribonde per un periodo di tempo variabile che corrispondeva alle proprie disponibilità e capacità. Alcuni si fermavano una settimana, altri lavoravano un mese o magari mezz’anno per ritornare poi a casa o iniziare un viaggio all’interno dell’India, spiegava con passione suor Giorgina dal sorriso solare e sereno che irradiava pace e tranquillità.
Fermarsi è difficile
Per un attimo l’idea di fermarmi in questo posto di desolazione sfiorò la mia mente. Non ero tuttavia pronto a fermarmi e piazzare le tende. Troppo grande era il desiderio di proseguire il viaggio alla scoperta di questo paese senza limiti e dalle mille sorprese. Come quella che aveva in serbo l’esperto volontario nelle vesti di un mansueto poliziotto. All’occhio vigile dell’esperto volontario non sfuggì infatti il rientro di uno degli ospiti dopo una “fuga” temporanea dalla casa dei moribondi. Andy lo invitò a sciogliere il nodo del verde lenzuolo che avvolgeva il corpo scheletrico del giovane uomo. Dal magico cilindro fecero la loro apparizione due sigarette “beedies”, un momento fugace di piacere, che l’esperto volontario sequestrò in modo elegante senza dimenticare di fare la morale allo sfortunato e recidivo ricoverato sui pericoli del fumo all’interno della casa. Il gracile ospite ascoltava in modo apatico la predica. Sembrava un quarantenne, ma in realtà di anni ne aveva venti. Pesava sì e no una quarantina di chili. Meno di due chili per anno. Suor Giorgina m’invitò a lasciare la casa dei moribondi, poiché bisognava iniziare la pulizia e disinfezione mensile dell’ospizio. Per placare i lamenti della coscienza decisi di sottoscrivere una modesta donazione a favore dell’opera di madre Teresa. In cambio ricevetti un santino con l’effigie della suora di origine albanese ed una piccola medaglietta.
Il sacrificio per la dea Kalì
Era ormai tempo di partire alla volta del tempio dedicato alla dea Kalì che si trovava a due passi dalla casa dei moribondi. Non era la prima volta che avevo il privilegio di entrare in un tempio indù. Ero quindi preparato alle varie tappe e rituali che solitamente accompagnavano le peregrinazioni all’interno di un luogo sacro. I mercanti del tempo erano come al solito in agguato. Dopo aver sfilato le scarpe gli addetti al guardaroba offrivano ghirlande e cestini colmi di fiori per propiziare le divinità. Dietro adeguato compenso ovviamente che poteva variare a seconda del numero di membri della famiglia che doveva beneficiare delle grazie divine. Malgrado gli avvertimenti il turista australiano – che avevo incontrato alcuni giorni prima in un albergo di Calcutta – cedette facilmente alle insistenze e si sottopose ad una lunga cerimonia consacrata a tutti i membri della sua famiglia. Per mia fortuna la famiglia non era troppo numerosa ed il rito si concluse quindi in tempi brevi. Nel frattempo avevo gettato uno sguardo fugace alla testa nera della dea Kalì con i suoi tre occhi a forma di mandorla presa d’assalto da uno stuolo di devoti attesi con pazienza dai bramani. Un’atmosfera elettrizzante, densa, multicolore dal forte profumo d’incenso, di fiori e di lumini. Ma le sorprese non erano finite, poiché l’ultimo angolo del tempio era riservato ai sacrifici rituali. Uno spettacolo agghiacciante si presentò ai miei occhi non abituati ad assistere al macello degli animali. Le teste insanguinate di due piccole capre nere giacevano sul pavimento in marmo. A due passi il resto del corpo che attendeva di essere scuoiato e tagliato dai macellai. “Siete stati fortunati a poter assistere a questo sacrificio, poiché di solito viene celebrato la mattina presto”, commentò con una punta d’orgoglio uno dei mercanti del tempio che fedelmente ci aveva accompagnato in ogni angolo del sacro luogo. Decisi di recuperare le scarpe e riguadagnare con passo rapido l’uscita. L’immagine crudele della coppia di teste insanguinate m’impedirà poi di mangiare carne durante tutto il viaggio indiano.
(c) Andrea Arcidiacono, tutti i diritti riservati, 1/12 continua

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