30. Januar 2022
Alla scoperta dell’India – secondo episodio
Nel 2002 il giovane Andrea Arci partiva alla volta dell’India in un viaggio di scoperta di un paese senza limiti e dai confini precari. Riviviamo insieme le tappe di questo periplo fra mondo ideale e realtà. Ogni domenica un nuovo episodio.
(c) Andrea Arcidiacono, tutti i diritti riservati 2/12
Avvolta in una coltre di traffico assordante e di denso inquinamento Calcutta rivela un’anima intensa, forte e vitale. Il grande ponte è avvolto da un moto perpetuo di automobili, bus e persone che trasportano ogni sorta di bene e merce da un capo all’altro: frutta, verdura, spezie, vasi colmi d’acqua, mattoni, vestiti, tessili e persino un divano che ondeggia sul capo di due facchini. Non c’è tempo di fermarsi sul grande ponte, poiché il turbinio della folla rischia di travolgerti e risucchiarti in un vortice senza fine. Sotto il sole cocente ed un’umidità quasi insopportabile raggiungo la stazione di Howrah, la più grande di tutta l’Asia. Un traffico intenso, una marea di polvere e gli occhi cominciano a lacrimare. Ripercorro il ponte in senso inverso e ritorno al punto di partenza. Una lunga scalinata conduce al famoso mercato dei fiori. Sotto la volta di un sottopassaggio uomini-carriola scaricano dai camion pesanti sacchi di calce per trasportarli sulla testa al punto di smistamento. Mi avventuro lungo la strada che costeggia il fiume. Un amico indiano del turista australiano ci conduce ad una scalinata, dove si svolgono le cerimonie di cremazione.
La cremazione
Entriamo dalla porta principale che conduce ai forni crematori. Sono aperti 24 ore su 24. É come entrare in una catena di montaggio: dalla carne alla cenere in poco più di tre ore. I due forni crematori sono in piena attività. All’entrata un lettino di legno accoglie il corpo morto di un’anziana signora. Mi colpisce la serena espressione del viso con gli occhi protetti dall’ovatta. Un ultimo saluto, un ultimo abbraccio ed un’ultima fotografia e la defunta signora è pronta ad essere gettata nel forno crematorio con tanto di lettino. Duecentocinquanta rupie, un prezzo modesto destinato alle famiglie con pochi soldi. Nel cortile adiacente a pochi passi dal fiume brucia invece all’aperto il cadavere di una persona benestante, la cui famiglia può permettersi di acquistare un’abbondante catasta del prezioso legno. L’amico indiano ci spiega che il morto appartiene ad una comunità di persone agiate. Sono tutti vestiti di bianco. Sotto l’ombra degli alberi attendono pazientemente la fine della cremazione. Ci muoviamo in modo prudente per non urtare le sensibilità delle persone presenti. L’amico indiano pone un difficile quesito sulla parte del corpo che non può essere distrutta dalle fiamme. Nessuno sa rispondere. È l’ombelico spiega in tono convincente la guida fedele, poiché l’ombelico è il fulcro originario della vita e ciò che Dio ha creato non può essere distrutto.
La seconda pelle
La vita e la morte si congiungono in un abbraccio infinito in questo paese. La morte non è imprigionata nelle catene della sfera intima, ma è una presenza fedele nella vita quotidiana attraverso le molteplici cerimonie religiose. La morte non è tabù, forse è talmente presente da spingere le persone verso il fatalismo e l’indifferenza. La religione è una seconda pelle che ricopre ogni istante dell’esistenza. Mi sembra talvolta di essere pure ricoperto da una seconda pelle. Non è la religione, ma una sorta di virtuale tuta protettiva che attutisce i colpi ed attenua le sferzate della sofferenza e della desolazione che percuotono il ventre di questo paese. Un paese infinito che è impossibile racchiudere nei binari della mente occidentale. Con una lunga canna di bambù uno dei parenti – probabilmente il figlio maggiore – sposta gli arti ardenti del cadavere. Pare che la testa esploda con un potente boato. Ne ho abbastanza e mi allontano in compagnia degli amici indiani e australiani. Sul cortile della strada s’apre una nuova finestra, nel momento in cui cerchi un attimo di tranquillità per digerire le emozioni precedenti. Un folto gruppo di ragazzi galoppa a passo sostenuto, trasportando sulle spalle un lettino e intonando alcune frasi di rito. Un altro cadavere pronto a essere gettato nella fauci della catena di montaggio. Fermiamo un tassì. È tempo di riguadagnare la strada dell’albergo.
Un grande mercato ambulante
Nel quartiere, dove sono alloggiato, la strada è un grande mercato ambulante. Un grande brulichio con gli improvvisati venditori sempre attenti a bisbigliare alle orecchie dell’ignaro turista i pregi delle loro mercanzie. Una lunga lista di offerte di ogni genere: un alloggio nella “migliore” pensione della città, erba di ogni genere e qualità, oppio, ragazze, alcool, mezzi di trasporto e chi più ne ha più ne metta. Di giorno e di notte le sirene della strada accordano le loro voci per cercare d’incantare i passanti. È tempo di deliziare il palato con un meritato chai, il tipico tè indiano con latte e molto zucchero che trovi ad ogni angolo della strada in qualsiasi momento del giorno e della notte. Il caldo umido di Calcutta è talvolta insopportabile e rende ancora più difficili gli spostamenti da un quartiere all’altro. Sorseggio con gusto la dissetante bevanda che ha di fatto sostituito il caffè in questo periplo indiano.
(c) Andrea Arcidiacono, tutti i diritti riservati, 2/12 continua

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