Il coraggio di dire sì all’Europa


Il coraggio di dire sì all’Europa

Correva l’anno 1999. Per la prima volta una donna – la consigliera federale Ruth Dreifuss – era Presidente della Confederazione. Il 18 aprile popolo e cantoni approvavano la revisione totale della Costituzione federale. Il 21 giugno i Consiglieri federali Josef Deiss e Pascal Couchepin firmavano a Bruxelles la prima serie di accordi bilaterali con l’Unione Europea (UE). Il 21 maggio 2000 il popolo svizzero approvava gli Accordi bilaterali I con il 67,2% di voti favorevoli.

Gli Accordi bilaterali I, entrati in vigore il primo giugno 2002, comprendono la libera circolazione delle persone, la rimozione degli ostacoli tecnici al commercio, gli appalti pubblici, l’agricoltura, il trasporto aereo, i trasporti terresti e la ricerca.

Esattamente vent’anni dopo la firma degli Accordi bilaterali I è toccato all’allora ministro dell’economia Pascal Couchepin ripercorrere la storia delle relazioni fra la Svizzera e l’UE in occasione della festa dell’Europa il 21 giugno 2019 a Berna.

I promotori della festa dell’Europa hanno colto l’occasione del giubileo dei vent’anni degli Accordi bilaterali I per rilanciare il dibattito sull’integrazione europea della Svizzera che attraversa un momento di forte tensione a causa della mancata firma dell’accordo quadro.

Per una politica europea propositiva

La politica europea della Svizzera ha bisogno di uscire dalla paralisi per ritrovare la forza progettuale”, ha sostenuto Flavia Kleiner, co-presidente dell’Operazione libero.

Il movimento politico è nato nel 2014 dopo il sì all’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Nel panorama politico svizzero si è profilato come forza progressista favorevole all’integrazione europea e all’immigrazione in contrapposizione all’Unione democratica di centro.

“Fra un episodio della serie televisiva Parker Lewis mi destreggiavo con i compiti di matematica”, ha ricordato con ironia Flavia Kleiner che all’epoca della firma degli Accordi bilaterali I aveva nove anni.

L’Operazione Libero ha promosso la festa dell’Europa con il Forum di politica estera foraus, l’associazione “la Svizzera in Europa”, l’associazione “aperta + sovrana”, l’associazione svizzera di politica estera e la piattaforma Svizzera-Europa. Tutte queste associazioni sono favorevoli alla firma dell’accordo quadro istituzionale.

Alla festa ha partecipato un trio d’eccezione: Pascal Couchepin, già Consigliere federale, responsabile del Dipartimento federale dell’economia e del Dipartimento federale dell’interno; Jakob Kellenberger, già Segretario di Stato e capo negoziatore degli Accordi bilaterali I; Roberto Balzaretti, attuale Segretario di Stato agli affari europei e capo negoziatore dell’accordo quadro fra la Svizzera e l’Unione Europea.

Dobbiamo votare sull’accordo quadro

Con il consueto brio politico Pascal Couchepin ha passato in rassegna l’evoluzione della politica europea della Svizzera.

Dall’accordo di libero scambio del 1972 alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Un cambiamento epocale che ha portato alla disgregazione dell’Unione Sovietica e ha fatto nascere la speranza di una globalizzazione pacifica.

Lo Spazio economico europeo (SEE) è nato in questa atmosfera d’euforia”, ha continuato Pascal Couchepin. Il 6 dicembre 1992 il 50,3% dei cittadini e la maggioranza dei cantoni bocciava l’adesione della Svizzera allo SEE, che era considerato all’epoca il campo d’allenamento prima dell’adesione all’Unione Europea (UE).

Il no allo SEE ha spinto la Svizzera a scegliere la via degli accordi bilaterali per accedere al mercato unico e rafforzare la cooperazione nel campo della ricerca, della sicurezza e dell’asilo.

“Ci sono oggi 120 accordi bilaterali fra la Svizzera e l’UE. Trovo abbastanza ragionevole la proposta d’inserire questi accordi in un quadro istituzionale”, ha ricordato Couchepin che ha invitato il Consiglio federale a dar prova di ragionevole coraggio.

Dobbiamo tagliare il nodo gordiano sui punti ancora in sospeso. Una volta esaurito il margine di negoziazione dobbiamo portare l’accordo quadro davanti al popolo. Il popolo deciderà. Se dovesse respingere l’accordo quadro, dovremmo trovare una soluzione per uscire dalla fossa”, ha concluso Pascal Couchepin.

Un bilancio economico positivo

Jakob Kellenberger, già Segretario di Stato, ha ricordato le difficoltà legate alla conclusione del primo pacchetto di accordi bilaterali. L’Accordo sulla libera circolazione delle persone, voluto dall’UE, è stato introdotto in modo progressivo per tenere conto delle differenze con il mercato del lavoro europeo:

Un paese benestante come la Svizzera deve riflettere, se vuol far fallire un negoziato a causa di una questione sociale. Questo fallimento può provocare forti danni alla sua reputazione”,  ha ammonito Kellenberger.

Il bilancio economico degli accordi bilaterali è positivo, come mostra il recente studio della fondazione Bertelsmann, ma dal punto di vista istituzionale non possiamo determinare le scelte dell’Unione europea”, ha concluso il già Segretario di Stato.

Il rischio di un’erosione delle relazioni bilaterali

Il Segretario di Stato Roberto Balzaretti, capo della Direzione degli affari europei al Dipartimento federale degli affari esteri, ha sottolineato l’importanza dell’accordo quadro con l’Unione Europea:

Abbiamo bisogno di un meccanismo che garantisca da un lato l’applicazione uniforme degli accordi bilaterali e che permetta dall’altro di risolvere le divergenze. Dobbiamo trovare un consenso sul campo d’applicazione dell’accordo e sulle eccezioni”.

Rispetto agli anni novanta i negoziati bilaterali fra la Svizzera e l’Unione Europea sono diventati più difficili: “Tutto è discusso sulla piazza pubblica. La gestione della comunicazione assume un ruolo centrale. La conclusione di un accordo è una sfida”, ha ricordato Balzaretti.

Sull’Accordo di libera circolazione popolo e cantoni saranno chiamati a votare ancora una volta nel 2020. L’iniziativa per un’immigrazione moderata (per la limitazione) promossa dall’UDC chiede la revoca dell’Accordo di libera circolazione attraverso negoziati o la denuncia unilaterale di tale accordo, se una soluzione consensuale con l’UE non dovesse andare in porto.

Una disdetta dell’Accordo di libera circolazione delle persone, come proposto dall’iniziativa popolare per la limitazione, equivarrebbe a una sorta di Brexit svizzero (Swissixt)”, ha sottolineato Balzaretti al termine di una settimana molto intensa.

Aria di tempesta fra Berna e Bruxelles

Il barometro delle relazioni bilaterali fra Svizzera e UE segna infatti tempesta. La Commissione Europea ha legato in modo arbitrario il riconoscimento dell’equivalenza borsistica a progressi sostanziali nella conclusione dell’accordo quadro istituzionale.

Il Consiglio federale non ha firmato l’accordo quadro e ha chiesto chiarimenti all’Unione Europea sulla protezione dei salari, gli aiuti statali e la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini.

Insoddisfatta della mancanza di progressi sull’accordo istituzionale la Commissione Europea non è intenzionata a prolungare l’equivalenza borsisticadal primo luglio 2019. Il Consiglio federale è pronto ad attivare un piano B che dovrebbe consentire di limitare i danni nel commercio di titoli fra la Svizzera e l’UE.

C’è tuttavia il forte rischio di entrare in una fase di sgarbi reciproci. Tu non mi dai l’equivalenza borsistica e io non ti do il miliardo di coesione. Tu non mi dai il miliardo di coesione e io ti escludo dai programmi di ricerca europei. Con conseguenze negative dal punto di vista economico, politico e psicologico.

Ma non è detta l’ultima parola, poiché l’UE non è un blocco monolitico. I paesi vicini alla Svizzera sono divisi sulla questione dell’equivalenza borsistica: la Francia è contraria al riconoscimento, Germania e Austria sono favorevoli e l’Italia sempre in bilico è pure favorevole al riconoscimento almeno sino al 31 ottobre 2019.

(c) Andrea Arcidiacono

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